“Adolescence” è una miniserie britannica che, in soli quattro episodi, scuote profondamente lo spettatore, catapultandolo in un incubo che mette in luce le profonde disconnessioni tra adulti e adolescenti.
La storia si apre con l’arresto di Jamie Miller, un tredicenne accusato dell’omicidio di una sua compagna di classe. Inizialmente, la famiglia e lo spettatore stesso sono convinti che si tratti di un errore giudiziario, ma presto si scopre che Jamie è effettivamente l’autore del crimine.
La serie non si concentra tanto sul crimine in sé, quanto sulle sue motivazioni e sul contesto sociale in cui Jamie è cresciuto. Il protagonista, interpretato da Owen Cooper, sembra un ragazzo normale, ma è profondamente influenzato dalla cultura incel e dal maschilismo introiettato, che lo porta a giustificare il suo gesto come “giusto” secondo una sua distorta etica.
Il titolo “Adolescence” è emblematico, poiché la serie esplora le difficoltà e le insidie dell’essere adolescenti nel mondo digitale, dove i codici e le guide per comprendere le nuove generazioni sembrano mancare. Gli adulti, inclusi i genitori di Jamie e la psicologa Briony, appaiono impotenti e incapaci di capire le dinamiche dei social media e le subculture online che influenzano i giovani.
La rappresentazione del divario generazionale è cruda e realistica, mostrando come gli adulti brancolino nel buio di fronte ai codici della generazione Alpha. La serie è un monito per genitori e adulti, che devono affrontare la propria incapacità di comprendere e proteggere i propri figli in un mondo sempre più complesso e pericoloso.
In sintesi, “Adolescence” è una serie che fa male, non solo per il suo contenuto crudo e disturbante, ma anche per la sua capacità di mettere in luce le nostre debolezze come genitori e adulti. È un’opera che lascia uno scossone profondo e che dovrebbe essere vista con attenzione e riflessione.